GNOCCO SARÀ LEI!
di DANILO GASPARINI
Raccontare un piatto vuol dire parlare della cultura, degli uomini che l’hanno prodotto, di un territorio. Significa approfondire i rapporti che legano il cibo alle strutture economiche, produttive, sociali e culturali in un determinato momento storico, in un secolo, con tempi di elaborazione, assimilazione a volte secolari, a volte veloci e rapidi. Sono storie che spesso coinvolgono intere generazioni, che ci raccontano la Storia da un altro punto di vista, seduti appunto a tavola.
Se per secoli è stato il bisogno e la necessità a dettare scelte, quando possibile, ora, bestemmia per le generazioni passate, il cibo è oggetto di spettacolo, meta turistica, valore mediatico, tanta industria, tanta politica…insomma tanta roba. Questo soprattutto in Italia dove, con somma meraviglia degli stranieri, amiamo tanto parlare di cibo e ci accaloriamo. Perché il cibo racconta la nostra storia, secolare, i nostri paesaggi, cangianti, le nostre molteplicità.
Ogni ricetta è un piccolo forziere dove si mescolano tradizione, storia personale e sapienza “materiale” e spesso è il risultato di un’evoluzione secolare che racchiude cultura, economia, arte e paesaggio che insieme determinano l’identità del territorio stesso. Allora narrare il cibo davvero significa raccontare la storia .
È il caso del gnocco. Si sta presto a dire gnocco. Dentro ci stanno secoli di storia alimentare, non solo farina. Intanto la parola, forse longobarda, o preromana: nokk …nodo!
Con ogni probabilità gli gnocchi sono la prima forma di pasta usata dall’uomo; a forma di piccolo boccone strappato, composti da un impasto di acqua e farina, che poteva essere di miglio, farro o grano, venivano cotti in liquido o spesso fritti, come vuole la tradizione in diverse regioni italiane. E partiamo quindi da Neolitico: dall’addomesticamento dei cereali, la composita e scapestrata famiglia dei Triticum. Una rivoluzione alimentare e metabolica, acqua, farina, pasta, pane…e così per secoli.
Già un piccolo boccone strappato e poi cotto…tipo gli Spätzle in area tedesca.
Come classifichiamo i gnocchi? Come si direbbe: statuto complesso. Paste da minestra, composte in modo più ricco ma anche bocconi, di varia forma e dimensione, con impasti diversi, alle origini pangrattato che sostituisce la preziosa farina con acqua ma anche uova, anche formaggio e a volte carne. Mettiamoci anche la confusione lessicale per cui la Nord passavano anche per maccheroni e al sud come starngulaprievete, strangolapreti… storia complessa, perché alla radice ci sta un latinismo volgare, maccare, impastare… Forse in origine, come scrive E. Carnevale Schianca, “… i gnocchi primitivi erano rudimentali bocconi di pastume modellati alla bell’e meglio con un colpo di mestolo…”. Nel manoscritto di cucina, ms. 158, Biblioteca Universitaria Bologna, si legge una prima ricetta : “ tolli lo cascio fresco e pestalo e poscia tolli la farina et intridi con tuorla d’uova a modo di milliacci, e poni il paiuolo a fuoco con acqua, e quando bolle, pone lo triso in sun uno taglieri et fallo andare colla caça nel paiuolo, et quando sono cotti, poni sopra li tallieri e getta cascio grattuggiato”. A seguire varianti, molteplici, compreso l’uso del pangrattato e la possibile cottura nel latte. Spesso assomigliavano ai fidãwš della cucina arabo-andalusa fatti di pasta di acqua e semola, modellati a forma di chicchi di frumento. Ma per secoli gli gnocchi risultavano di formaggio fresco impastato con la farina e intrisi di tuorli d’uova: Teofilo Folengo, il noto poeta maccheronico veneto, definiva i macheroni come un cibo grassum, rude et rusticanum. Nei grandi ricettari rinascimentali risultano proporzionati alla dimensione di una castagna o di una noce e per cuocerli meglio si consigliava di scavarli con il pollice e in seguito sul dorso di una grattugia. L’impasto via via si definisce: formaggio, farina e rosso d’uova. La cottura? dipende: in brodo di vitello o cappone a cui, per nobilitare si aggiungeva zafferano e al ter spezie dolci.
E come non ricordare il Venerdì gnocolar di Verona, legata ad auna grave carestia del 1531. Per riportare la calma nei disordini seguiti nel quartiere popolare di san Zeno fu nominata una commissione di cittadini facoltosi che si occupò di acquistare e distribuire grano e farina. Di questa commissione sembra facesse parte anche Tommaso Da Vico, tradizionalmente indicato come il padre del Carnevale Veronese. Si narra infatti che in punto di morte egli abbia dato ordine di distribuire gratuitamente pane, vino, burro, farina e formaggio ai Sanzenati durante l’ultimo venerdì di Carnevale.
Ma oggi quando parliamo di gnocchi in modo molto riduttivo e semplificatorio discorriamo di gnocchi di patate… a prescindere. In realtà la vera rivoluzione nella tradizione del gnocco arriva con la patata quando questa, dopo un paio di secoli di clandestinità, trova udienza nelle tavole prima del mondo contadino, poi in quello della gastronomia. Quanta fatica abbia fatto la patata a imporsi nel mondo contadino Dio solo sa. Tra tutti i cibi dello scambio colombiano- mais, pomodoro, peperoncino, cacao, tacchino…- è quella che più ha faticato a imporsi. Dalla sua grandi diffidenze popolari e non solo. Si diffonde nel corso del Settecento come cibo da carestia, sostenuto da una vasta campagna di promozione da parte delle autorità statali e dagli stessi parroci. La sua fortuna si allarga soprattutto nelle campagne dell’Europa settentrionale ed è speculare a quella del mais. Diffusione, come si diceva, sostenuta da un’intensa campagna di promozione pubblica e scientifica, sulle sue capacità nutritive . Federico Guglielmo I di Prussia (1713-1740) e i figlio Federico il Grande si attiveranno per “imporre” ai contadini la sua coltivazione. In Serbia e Croazia si arriverà a vere e proprie ingiunzioni giudiziarie per obbligare i contadini a piantare patate.
Sarà comunque una faticosa adozione, pari a quella del pomodoro, ma più connotata come cibo della miseria, della fame. Dalla sua giocavano le confusioni lessicali e botaniche dei nuovi arrivi: batata, patata, topinambur. Inoltre le ultime resistenze della dottrina galenica degli umori- gli alimenti classificati secondo i diversi gradi di secco, umido, caldo e freddo- connotavano la patata come troppo ricca d’acqua, marcescibile. Altri tabù la connotavano come cibo del diavolo, perché sotterranea e perciò velenosa. Semplificando, furono tre le le strade di diffusione:
una varietà a buccia rossa parte dalla Ande peruviane, passa per la Spagna e Genova , dove si irradia nell’Italia centrale, nelle valli piemontesi e agli inizi del ‘600 in Germania e Francia
una varietà a buccia gialla, parte dal Cile meridionale, e raggiunge le isole britanniche, l’Irlan da dopo il 1578
Una terza che parte dalla Virginia
Si diceva cibo della fame: fu la carestia del 1770-72 a decretarne il successo…in tutto il centro-nord Europa (ma anche in Irlanda) e in Francia . In Italia, soprattutto Friuli e Italia Nord Orientale fu la carestia del 1816-17 a lanciare la patata. Dalla sua, in termini di agronomici, furono decisivi i rapporti di produzione: la patata, come il mais diventa cibo da “riempimento” per i contadini. Contadini che agli inizi la osteggiano perché vedono nella sua adozione un impoverimento della dieta, tenuto conto anche della cattive qualità delle prime generazioni di patate che davano un polpa acida e acquosa.
La via maestra, indicata da Antoine Agustin Parmentier (1737-1813), farmacista, agronomo, nutrizionista francese, nel suo Traité sur la culture et les usages des pommes de terre, de la patate et des topinambours (1789), è quella della panificazione.
A differenza del mais la patata conquista i ricettari data la sua versatilità gastronomica tanto da arrivare anche nelle mense aristocratiche. La sua versatilità la pone perciò subito adatta a sostituire parte della farina nella preparazione del gnocco. Ed è subito amore. Vincenzo Corrado, monaco celestiniano di Napoli, «chef mediatico» del tempo, nel suo Trattato delle patate per uso di cibo, stampato nel 1798, dedica alle patate 54 ricette, tra le quali compaiono i gnocchi. Pellegrino Artusi, un secolo dopo, nel 1791, nel suo La scienza in cucina e l’arte del mangiar bene, dedica la ricetta n. 89 ai gnocchi di patate ed esordisce così “la famiglia de’ gnocchi è numerosa…”. Apunto!
Oggi, accertata la fortuna millenaria della sagoma, della forma, del modello gnocco – anche globus in antichità- il gnocco contempla infinite varietà di ingredienti: la morfologia, la grammatica e la sintassi sono note…il resto è solo retorica, dell’abbondanza e del gusto.
Danilo Gasparini